
Josè Garcia Ortega, l’artista rivoluzionario
La regione della Castiglia ha una lunga storia di indipendenza. Questa terra era abitata soprattutto da popolazioni di origine cantabrica e basca, ma con un dialetto proprio di origine latina, il castigliano, e leggi proprie basate sul libero arbitrio ed amministrate da giudici popolari, in contrasto con quanto avveniva nel resto del Regno di Spagna.
In questa terra, ad Arroba de los Montes, un piccolo paese di 500 abitanti che vivono a 700metri sul livello del mare, coltivando un terreno brullo ed ostico, nel 1921 è nato Josè Garcia Ortega. Adolescente nel 1934 si trasferisce con la famiglia a Madrid, dove il suo spirito per la libertà e la giustizia lo portò a frequentare i circoli antifranchisti ed a cominciare a dipingere il suo impegno civile e politico.
Nel febbraio del 1936 una coalizione di partiti il “Fronte Popolare” vince le elezioni della giovane repubblica spagnola. La guarnigione militare di stanza nel Protettorato del Marocco Spagnolo amministrato dagli spagnoli dal 1912 insorge non riconoscendo come legittimo l’esito elettorale. Il suo comandante generale Francisco Franco nel marzo del 1939 entra a Madrid, ponendo fine a tre anni di sanguinosa guerra civile.
All’età di 26 anni Ortega viene condannato a 10 anni per reati d’opinione ed incarcerato, ne sconta cinque e si iscrive alla Scuola Nazionale di Arti Grafiche e al Circolo Libero delle Belle Arti di Madrid. Nel 1953, ottiene una borsa di studio dal governo francese per studiare alla Scuola Etienne, poi alle Belle Arti di Parigi. Nel 1960 deve lasciare la Spagna e il suo esilio lo porta a Parigi dove viene premiato con la medaglia d’oro dal Congresso Internazionale dei Critici d’Arte del Verucchio per la sua lotta per la libertà raffigurata nella sua pittura, nelle xilografie, nelle incisioni e nei suoi disegni. E’ considerato uno dei principali artisti spagnoli ed espone a Parigi, St. Louis, Toronto, Filadelfia, Torino, Roma, Zurigo, Essen, Lussemburgo, Bruxelles. Nel 1972 espone al museo di Norimberga una serie di 60 incisioni dedicate al pittore tedesco Albrecht Durer incisore e matematico rinascimentale.
Poi nel 1973 si trasferisce in Italia a Matera nei “Sassi” dove stabilisce il suo laboratorio artistico. Qui sperimenta l’uso della cartapesta, imparato dai maestri materani, insieme alla tecnica della incisione e realizza una delle sue opere più note, una serie di dieci tavole bassorilievo dal titolo “Morte e nascita degli Innocenti”. Dopo sedici anni viene revocata la condanna all’esilio ma, dopo un breve rientro in Spagna, ritorna in Italia per stabilirsi a Bosco un piccolo paesino del Cilento. Josè Ortega si è innamorato di questo luogo in collina vicino al mare perché, così diceva: ”Sto bene con voi, perché qui ho trovato un’angoscia ed una miseria che sono quelle della mia gente. Perché i colori sono quelli della mia terra. Sono rimasto perché la pelle dei braccianti è scura e secca, come quella dei contadini spagnoli.” Inoltre il pittore associava la storia di Bosco, quando nel luglio del 1828 insorse contro i soldati borbonici ma fu distrutto per tre volte e raso al suolo, con la resistenza degli spagnoli contro il generale Franco. In omaggio alla insurrezione dei paesani di Bosco, all’ingresso del paese sono esposte numerose maioliche dipinte da Ortega che ricordano la repressione dei soldati borbonici.
Domenica 4 maggio, noi delle associazioni di promozione sociale “Spazio UpArte” e “Liberamente Insieme” siamo andati a visitare il paese di Bosco, abbiamo visto la casa di Josè Ortega, abbiamo visitato il museo a lui dedicato ed inaugurato nel 2011. Abbiamo potuto rivivere, attraverso le sue opere esposte, la sua odissea intrisa di impegno politico e sociale. Con Ortega l’arte non è solo una rappresentazione estetica ma diventa uno strumento di denuncia delle ingiustizie e della vilipesa condizione delle donne e degli uomini costretti a vivere in un regime di repressione e violenza. Il suo, però, è tuttavia un messaggio di speranza e di risorgimento dei valori umani fondamentali simboleggiati in ogni sua opera, ispirata dai “segadores” i lavoratori della terra che sono uguali in ogni parte del mondo.
Diceva: «Qui sono venuto a costruire un pezzetto di libertà. Lavorare in queste terre, significa osservare e imparare costantemente, per portare poi con noi qualcosa di veramente puro e genuino che valga la pena di aver assimilato. Ci sono dei momenti nella vita dei popoli, in cui gli artisti sentono che un’arte a contenuto rivoluzionario è una necessità. Quindi non più l’arte per l’arte. Noi poeti, musicisti, pittori, noi creatori d’ arte…contro coloro che predicano il disimpegno e l’evasione…sentiamo che il popolo ha bisogno di forme artistiche che chiamino all’unione per restituire libertà e democrazia al paese.»
Muore a Parigi il 24 dicembre del 1990, il suo corpo è sepolto nel Cimitero di Montmartre, il suo ricordo è sempre vivo nella terra fertile del Cilento.
Calo Ceresoli