
AUTORE: PORFIRIO TITOLO: L’ANTRO DELLE NINFE EDITORE: ADELFHI
Nel corso dei secoli si è registrata, da parte dei vari studiosi di classicità che si sono succeduti nel tempo, nei confronti di Porfirio una sorta di ostracismo, unita a una imperdonabile sottovalutazione delle sue opere, probabilmente dovuta anche alle sue posizioni religiose pagane che contrastavano nettamente col Cristianesimo che in quel tempo-siamo dopo il 250 d.C. – si stava diffondendo abbastanza rapidamente.
Amico e allievo prediletto di Plotino, di cui curò anche l’edizione delle “Enneadi”, visse in effetti sempre all’ombra del Maestro di cui aveva una stima tanto profonda da sfociare in una forma di autentica venerazione.
Porfirio nacque a Tiro nell’odierna Siria, verso il 232 d.C. e fu autore di numerose opere che purtroppo sono andate in parte perdute. Alcune però, anche se in maniera non completamente integra, sono arrivate fino a noi e tra queste ricordiamo: ”Vita di Pitagora”, “Sui simulacri”, ” Lettera a Marcella”, “Contro i Cristiani”. Ma l’opera maggiore, almeno di quelle a noi arrivate, è senza alcun dubbio “L’antro delle Ninfe”.
In questo scritto, a dire il vero abbastanza breve, ma denso di significati e dove in effetti si può avere contezza della sua vasta e poliedrica cultura, egli commenta da par suo e in maniera originale e singolarissima il brano che va dal verso 102 al verso 112 del tredicesimo libro dell’Odissea di Omero.
Per una migliore comprensione dell’opera in questione, riportiamo qui l’intero brano:
“In capo al porto vi è un olivo dalle ampie foglie:
vicino è un antro amabile, oscuro
sacro alle Ninfe chiamate Naiadi;
in esso sono crateri e anfore
di pietra; lì le api ripongono il miele.
E vi sono alti telai di pietra, dove le Ninfe
tessono manti purpurei, meraviglia a vedersi;
qui scorrono acque perenni; due porte vi sono,
una, volta a Borea, è la discesa per gli uomini,
l’altra, invece, che si volge a Noto, è per gli Dei e non la
varcano gli uomini, ma è il cammino degli immortali.
Qui Omero si riferisce alla grotta dove Ulisse, tornato a Itaca dopo dieci anni di guerra contro Troia e dopo altri dieci anni di peripezie, nasconde i doni di cui gli avevano fatto omaggio i Feaci, per non farsi subito riconoscere, essendosi travestito da mendicante con l’aiuto di Minerva. Secondo Porfirio, la descrizione di questo antro da parte di Omero è totalmente e autenticamente simbolica. Egli vede in questa rappresentazione il vero significato del Mondo, nonchè del Cosmo e delle varie divinità dell’Olimpo. Tutto viene elevato da Porfirio al livello di metaforica sacralità: l’olivo che rappresenta la vita, le anfore di pietra che designano la materia bruta, mentre i manti purpurei (meraviglia a vedersi) indicano i doni che gli Dei riservano agli uomini. Le due porte, infine, vogliono significare una il percorso dell’umanità nel Mondo, mentre l’altra è quella riservata gli esseri divini e perciò immortali.
L’interpretazione che dà Porfirio di questi pochi versi dell’Odissea è quindi sinceramente fantastica poiché, a parer nostro, rappresenta la suprema condensazione dell’intero sapere simbolico dell’Occidente antico.
Da sottolineare infine la buona traduzione e l’ottimo commento della professoressa Laura Simonini.
ETTORE DONADIO